Pacon: iniziamo la terza fase del progetto

Partiamo con la terza fase del nostro progetto. Quella in cui ci eravamo detti che avremmo usato le esperienze di questo periodo in cui ci siamo messi a fianco alle persone Ucraine (ed Afghane) per dare loro una mano, per raccogliere le idee e provare a raccontare a tutti quello che sta succedendo.

Consigliato bene, ho provato anche a leggere il libro di Gino Strada, Una persona alla volta, che, a mia volta, vi consiglio.

Ora, il dibattito sull’intervento o meno in Ucraina, se fornire le armi, mi accorgo che viene fatto sempre non considerando un aspetto essenziale: come dice Gino Strada, gli unici che davvero ne pagano le conseguenze sono le persone inermi. Persone come noi, ma che, diversamente da noi, un giorno d’improvviso non hanno più potuto andare allo loro scuola, risvegliarsi nella loro città, frequentare i loro amici, viversi la propria vita. Hanno dovuto imparare invece ad avere paura, a chiedere la carità ed il sostegno degli altri, a ricevere abiti, scarpe e padelle usate, ad abitare in una casa che non hanno scelto tra persone che parlano e mangiano incomprensibilmente. Hanno imparato a dover ringraziare sempre e ad avere voglia di piangere, ogni giorno. Incontrare chi deve mettere in secondo piano una malattia genetica potenzialmente letale della propria figlia perché la priorità è quella di trovarle un tetto ed un pasto è … incomprensibile, straziante. Più mi avvicino, più sto a fianco di queste persone, più mi trovo smarrito e confuso e perdo certezze.

Sempre Gino Strada: Mi è occorso del tempo per accettare l’idea che una “strategia di guerra” possa includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del “Paese nemico”. Armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili.

Allora mi rendo conto che loro, le persone che abbiamo incontrato in questo periodo, loro sono quelli fortunati. Sono quelli che hanno potuto scappare.

Anche se qualcuno di loro mi ha scritto che è stato costretto a tornare, anche se la loro città non era ancora sicura. Costretto perché, qui, il tempo che ci è stato dato per aiutarli non è bastato. E mi sento così in colpa di non aver fatto di più, di non aver spinto oltre, di non aver saputo coinvolgere più persone.

Il primo giorno che ho visto Milly girava in tondo con la sua bicicletta, sola, in un cortile che confina con il parco acquatico di Antegnate. Al di là di una rete metallica c’erano centinaia di persone, molti dei quali bambini, che si godevano un caldo giorno d’agosto divertendosi con gli scivoli e la gigantesca piscina. Al di qua della rete una bambina completamente sola, da settimane, che scoprii dopo poche ore avere un gigantesco ed assoluto bisogno di poter stare e giocare con altri bambini, di essere bambina! Una metafora cruda di come affrontiamo i drammi del mondo. Ne ignoriamo l’esistenza se non in modo superficiale, da distanza; ma non conosciamo, non conosciamo i nomi di quelle persone.

Ma davvero? Ma davvero possiamo abituarci a tutto? Ma davvero possiamo assistere a queste cose e farcene un’abitudine? Sapete quanto era facile ottenere impegno e coinvolgimento a Marzo sul progetto Pacon e quanto, invece, è difficile oggi? Dopo solo 7 mesi.

No, non ci credo. Il problema è che noi siamo troppo sensibili, e queste cose sono disumane. Il problema è che ci perdiamo nell’immenso dolore che queste prese di coscienza ci producono ogni volta, e cerchiamo di starne alla larga, non volendole conoscere. Perché sentirci impotenti ci fa ancora più male.

Ma così facendo, ci disumanizziamo! Siamo parte del gioco cieco dell’egoismo dell’ignoranza.

Sempre Strada: Se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi.

All’inizio del progetto la restituzione del nostro percorso con eventi di narrazione per condividere era stata prevista più per un’abitudine a considerare un momento simile come chiusura “tipica” di un progetto Sguazzante. Ora mi sembra così urgente e fondamentale.

Perché le politiche che decidono dei nostri futuri e dei destini dell’umanità non sono così distanti. Chi decide viene influenzato da chi si fa sentire e chi ha interessi più forti è chi elabora le strategie più efficaci per farsi sentire. Quante persone semplici, ma con una ferma ed indissolubile convinzione, hanno significativamente influenzato importanti politiche nel mondo nel passato? Tante, alcune anche molto giovani e molto recentemente.

Ci facciamo sentire?


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