L’esercizio dell’immaginazione come risorsa contro la tristezza.

In questo periodo di “reclusione domestica” occorre attivare le strategie utili per sopravvivere psicologicamente all’interno di uno spazio di vita ridotto.

Non è facile adattarsi ad uno stile di vita che improvvisamente cambia e che non è stato scelto volutamente dalla persona. La vita vissuta diviene improvvisamente una vita subita in cui la costrizione all’interno di spazi ridotti, i tempi che improvvisamente si dilatano e la mancanza di una reale progettualità futura, consegnano al soggetto un forte senso di smarrimento e di impotenza.

Non sempre il rimanere ancorati alla mano salvifica del “qui ed ora” produce i risultati sperati. Anzi.

L’essere eccessivamente presenti e consapevoli di ciò che sta accadendo intorno, può far sprofondare in una profonda angoscia restituendo la sensazione che il tempo si sia fermato in una dimensione in cui vi è un forte abbassamento dell’orizzonte di senso della realtà quotidiana esperita.

La progettualità futura è stata fortemente dissestata dai possenti colpi della paura e dell’incertezza. L’ansia, intesa come pericolo percepito verso un domani che sa di ignoto e di fortemente castigante da un punto di vista della salute e dell’economia, costringe a rimanere in un perenne stato di preoccupazione per se stessi e per i propri familiari.

Eccessivo controllo, costante ricerca di rassicurazioni, frustrazione per la sensazione che niente cambi e che tutto sia rimandato ad un precario domani, lasciano dentro il bisogno di cedere, di disinnescare i meccanismi che attivano un eccesso di presenza.

Quale occasione migliore, allora, per provare a distrarsi?

Distrazione intesa come accettazione della sfida del gioco dell’immaginazione, come facevamo da bambini quando bastavano pochi elementi per innescare la costruzione fantastica di vicende animate da avventure stimolanti, con i personaggi recuperati dal nostro scenario interiore.

Propongo allora alcune fantasie guidate che costringono a distrarsi da ciò che accade attorno per diventare attenti osservatori di se stessi volgendo lo sguardo al proprio interno. Diveniamo spettatori dei personaggi che adesso animano il teatro interiore di ciascuno di noi. I protagonisti si chiamano rabbia, paura, desiderio, amore e tristezza.

Ognuno di essi recita il proprio ruolo, solo che dobbiamo dargli modo e tempo per poterlo fare al meglio. Occorre quindi non giudicarli, altrimenti rimangono dietro le quinte, ed accoglierli in modo che ognuno di loro dia il meglio di sé.

Per diventare attenti spettatori di sé e un disattento pubblico delle vicende esterne, occorre lavorare con il corpo attraverso alcune pratiche semplici ma efficaci.

1) Ritagliati 10 minuti per te in un posto dove puoi stare da solo e mettiti sdraiato in una posizione comoda. Immagina ad occhi chiusi di essere al mare su una zattera, di avvertire a livello somatico il calore del sole e di percepire il leggero movimento delle onde.

Inspira ed espira profondamente per 2-3 minuti.

Successivamente prova ad immaginare che, ad ogni inspirazione corrisponde all’immergersi nell’acqua con tutta la zattera e che ogni espirazione, invece, coincide con il riemergere.

Prova a fantasticare sulle sensazioni del calore del sole, sulla freschezza dell’acqua sulla pelle, sulla sensazione del vento in fase di emersione e sul senso di inabissamento nelle profondità dell’acqua.

Prova anche a giocare con la paura e sulla successiva auto-rassicurazione immaginando con la zattera di percorrere un torrente in cui ci sono rapide, curve repentine e dove si avverte un forte senso di instabilità. Prova a fa emergere queste sensazioni e a ad ascoltare il respiro durante il pericolo e come cambia quando invece tutto si acquieta e ti trovi nuovamente in una situazione di pace e serenità. E’ importante lavorare sulle tensioni muscolari e sulle successive distensioni rimandando al corpo il senso di un risveglio emozionale.

2) Immagina adesso stando in piedi ad occhi chiusi con le gambe leggermente aperte e le ginocchia un poco flesse, di essere fra quattro strette mura. Porta le mani su quella parte del corpo che senti maggiormente attiva o maggiormente scarica. Le mani utilizzale come strumento di cura e nutrimento, immaginando di alimentare le emozioni che senti in modo da facilitarne l’espressione. Se questa visualizzazione dello spazio stretto attiva rabbia o fastidio, è importante dar loro voce attraverso gli esercizi di spinta in avanti, lateralmente, dietro e sopra. Partendo in maniera lenta per poi accelerare è opportuno immaginare di distanziare progressivamente le pareti o, se vogliamo, di distruggerle. Occorre rimandarsi la sensazione che ci dà il riuscire a recuperare i propri spazi e, in caso in cui le emozioni esperite siano maggiormente legate al senso di impotenza e frustrazione, è importante lavorare per cercare di convertire il senso di abbandono in un’opportunità per ascoltare cosa c’è che non vogliamo lasciare di quella “prigione” o cosa ci impedisca di andare oltre quelle pareti.

Le energie talvolta sentite come scariche o insufficienti per restituirci il senso di efficacia e di libertà possono essere attivate battendo i piedi a terra in maniera alternata e vocalizzando la “U” o la “O” per infondere coraggio e determinazione. Ogni volta che viene effettuata una spinta è importante rilassare la mascella e provare ad espirare con la bocca accompagnando il tutto con l’emissione di un suono.

3) Se la paura e la tristezza sono protagonisti troppo attivi della nostra scena interiore, è possibile dar loro voce attraverso una pratica seduta.

Stando con le mani sulle ginocchia è importante ascoltare dove si blocca il respiro e dove si annidano le tensioni a livello muscolare. Successivamente portiamo le mani sopra queste zone contratte e tese, immaginando di essere un grosso pallone gonfiabile.

Successivamente proviamo ad immaginare in fase di espirazione che due forti mani, dall’esterno, inizino a premere all’altezza delle spalle e ci “sgonfino” completamente. Procedendo inizialmente in maniera lenta e successivamente più veloce, occorre ripiegarsi sulle gambe ogni volta che ci sentiamo premuti buttando fuori tutta l’aria che fuoriesce dalla bocca svuotandosi completamente, prima la parte alta e poi quella bassa (e viceversa). Nell’inspirazione, che avviene con il naso, progressivamente ci solleviamo immaginando di essere piano piano gonfiati fino ad arrivare alla massima capienza. La testa è l’ultima parte che deve essere sollevata.

È importante lavorare sulle due tendenze contrapposte: tensione-apertura in inspirazione e distensione chiusura in espirazione, cercando di avvertire a livello corporeo se riusciamo a stare in tensione o, all’opposto, se abbiamo difficoltà a lasciare andare e distendere.

Tutto ciò che emerge può essere eventualmente lavorato successivamente in seduta con lo psicoterapeuta, oppure, in sua assenza, la persona in questione può prendersi cura di sé utilizzando le sensazioni emerse provando a descriverle su un taccuino o a rappresentarle attraverso disegni e colori.

Articolo originale su GUIDAPSICOLOGI.IT

Illustrazione di Riccardo Guasco


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